Esempi di store ben formate

STORIE BEN FORMATE: RISCRITTURE

La donna e la gallina
C’era una volta una gallina faceva l’uovo tutti i giorni. Ma la sua padrona era una donna avida.
Un giorno alla donna venne in mente di darle di più da mangiare.
Pensava che così la gallina avrebbe fatto due uova al giorno.
Cominciò a portare alla gallina dei bei piatti colmi di semi.
Fu così che la gallina ingrassò, ingrassò,
e smise di fare le uova.
La donna pensò che questa era una giusta punizione per la sua ingordigia.
(Adattamento al testo tratto da L. Tolstoi, I quattro libri di lettura, Longanesi, Milano, pag.15)

Il passero affamato
Un giorno d’inverno, mentre la neve cadeva fitta, un passero affamato stava sconsolato, appoggiato sul ramo di un albero e guardava il paesaggio che si copriva lentamente di bianco.
Ad un tratto vide qualcosa che luccicava lontano.
L’uccellino pensò: “Coraggio, proverò a volare laggiù, anche se la terra è tutta coperta di neve, forse lì troverò qualcosa da mangiare.
Il passero volò in quella direzione.
Ma trovò soltanto rifiuti: una bottiglia senza acqua e un barattolo vuoto. Disse tra sé: Uffa, che delusione!
Tuttavia non si scoraggiò: Pensava: Forse troverò un bambino che mi aiuta, laggiù tra quelle case.
Volò ancora e, arrivato alle case, si avvicinò e si posò sul davanzale di una finestra. Al di là del vetro, un bambino lo osservava sorridendo.
Il bambino aprì la finestra e gli diede qualcosa da mangiare.
Il passero cinguettò : Grazie.
Poco dopo accorsero altri uccellini e tutti insieme mangiarono contenti beccando le briciole sul davanzale della finestra.
Il passero disse: “Come sono felice! Ho fatto bene a non scoraggiarmi, infatti ho incontrato un bambino, ho mangiato e ho trovato alcuni altri amici”.
Scrittura collettiva classe terza SE Ciardi – Treviso

Il cavallino preoccupato
Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era ancora allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: “È ora che tu esca e impari a fare piccole commissioni per me. Per favore porta questo sacchetto al mulino. E’ un luogo che conosci, perché ci siamo andati insieme più volte”.
Il cavallino preoccupato pensò: “Che cosa succederà se mi perdo? E se mi catturano, come potrò cavarmela? Mi sembra un incarico troppo difficile. Dirò alla mamma che non mi sento bene.
Così disse alla mamma che stava poco bene e non si sentiva di svolgere quell’ incarico.
La mamma ci rimase male e cercò un’altra soluzione.
Il cavallino fu contento di essersi tolto quel pensiero. Lo farò un’altra volta disse tra sé, oggi non mi sento davvero bene.
Francesco classe quarta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Il cavallino coraggioso(alternativa)
Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era ancora allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: “È ora che tu esca e impari a fare piccole commissioni per me. Per favore porta questo sacchetto al mulino. E’ un luogo che conosci, perché ci siamo andati insieme più volte”.
Il cavallino coraggioso pensò: “Che cosa succederà se mi perdo? E se mi catturano, come potrò cavarmela? Mi sembra un incarico un po’ difficile, tuttavia potrei stare attento e correre veloce come il vento, in modo da tornare il più presto possibile.
Il cavallino fiutò l’aria più volte, sentì i diversi odori del mondo di fuori, avvertì l’odore del sacco che sapeva di farina e si rallegrò percorrendo il tragitto previsto.
Arrivò velocemente al mulino, depositò il sacco di grano e ripartì verso casa. Arrivato disse tra sé: “Finalmente sono arrivato. La mamma sarà contenta di me e io dopotutto non ho corso nessun pericolo. La prossima volta viaggerò con maggior tranquillità”.
Valentina classe quarta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Il cavallino brontolone (alternativa)
Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era ancora allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: “È ora che tu esca e impari a fare piccole commissioni per me. Per favore porta questo sacchetto al mulino. E’ un luogo che conosci, perché ci siamo andati insieme più volte”.
Il cavallino brontolone pensò: ” Che succede alla mamma? Non sono mai uscito da solo e adesso, ad un tratto, devo portare un sacco pesante al mulino? Va bene ci andrò, ma se mi succederà qualcosa, sarà colpa sua.”
Così si avviò a testa bassa, borbottando i mille motivi per cui sarebbe stato meglio non andare, tuttavia arrivò presto al mulino e portò a termine il suo incarico senza problemi.
Arrivato a casa, il cavallino disse dentro di sé che era stato uno sciocco a lamentarsi del compito che la mamma gli aveva affidato perché ora in realtà era contento di avercela fatta da solo.
Carlo classe quarta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Il cavallino previdente (alternativa)
Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era ancora allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: “È ora che tu esca e impari a fare piccole commissioni per me. Per favore porta questo sacchetto al mulino. E’ un luogo che conosci, perché ci siamo andati insieme più volte”.
Il cavallino pensò:”Come farò ad attraversare il fiume da solo? Quando c’è la mamma non ho paura della corrente, ma se lei non ci sarà, come potrò fare?
Chiese alla mamma se l’acqua del fiume sarebbe stata alta e si tranquillizzò quando lei gli disse che l’acqua in quella stagione era bassa. Così decise di partire.
Il cavallino partì. Arrivato al guado del fiume, si accorse che l’acqua era bassa come gli aveva detto la mamma e fu felice perché non avrebbe corso alcun pericolo. Arrivò al mulino e consegno il suo sacco, poi ripartì verso casa.
Il cavallino fu orgoglioso di essere riuscito ad andare al mulino, aver attraversato il fiume da solo e di non aver avuto paura della corrente. “In questa stagione si può andare sicuri – disse tra sé”.
Federica classe quarta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Due disperati nel deserto concordano un piano di fiducia
Due disperati si trovarono un giorno nel deserto. Non vedevano intorno che sabbia e avevano una gran sete.
A loro disposizione era rimasto soltanto un litro d’acqua e il villaggio ancora lontano almeno un giorno di cammino.
I due pensavano a come avrebbero potuto salvarsi insieme ma non sapevano quale alternativa scegliere.
Avrebbero potuto bere metà acqua ciascuno, ma nessuno dei due sarebbe poi sopravvissuto perché con mezza bottiglia d’acqua quasi sicuramente nessuno dei due sarebbe arrivato al villaggio. La cosa era impossibile.
Avrebbero potuto decidere di caricare il più debole sulle spalle di quello dei due che aveva un fisico più forte, il quale, dopo aver bevuto, avrebbe potuto raggiungere il villaggio, ma la cosa era difficile.
E se il più forte, dopo aver bevuto, fosse partito da solo, lasciando il più debole a morire?
Avrebbero potuto decidere di dar da bere l’acqua al più forte, e sperare che raggiungesse al più presto il villaggio. La cosa sarebbe stata possibile, ma il più forte non si sentiva di abbandonare l’altro.
Avrebbero potuto aspettare una carovana?
Il primo disse: “Nessuno di questi da solo è un buon piano, se ci manca la fiducia reciproca”. Il secondo, per la prima volta, fu d’accordo con lui.” Decisero quindi che avrebbero fatto prima un patto di fiducia l’uno nell’altro, poi avrebbero scelto il piano meno pericoloso.
Si parlarono a lungo, si chiesero scusa per le parole cattive che si erano detti, e per le mille accuse che si erano lanciati in quegli anni alla fine, esausti per il prolungarsi della discussione, si addormentarono.
Laura classe quinta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Il regalo
Un giorno a scuola Lucia stava disegnando tranquillamente, quando ricordò che quel giorno era il compleanno di sua sorella Chiara.
Lucia pensò che avrebbe voluto farle un regalo e disse tra sé : ” Potrei dedicarle il disegno che sto facendo, mettendolo in una busta con il suo indirizzo.
Completò il disegno e sotto scrisse “Tanti auguri a Chiara”. Poi mise la data di quel giorno e chiese alla maestra una busta grande nella quale scrisse “Per Chiara” .
Arrivata a casa, aspettò che la sorellina tornasse dall’asilo e le consegnò il suo regalo.
Lucia era molto contenta di essersi ricordata da sola del compleanno della sorella e di averle fatto un regalo, Chiara fu contenta di ricevere una busta indirizzata a lei con dentro un regalo della sorella.

Tre farfalle
Il primo episodio di questa narrazione è giunto per posta all’inizio dell’anno 1993, agli alunni della Scuola Elementare Masaccio di Treviso, dagli alunni della Scuola di pace del Villaggio di Nevé Shalom – Wahat al Salam situato in Israele sulla strada che da Tel Aviv conduce a Gerusalemme. Il testo originariamente scritto in lingua ebraica, è stato tradotto e successivamente completato nel secondo episodio dagli alunni della classe quinta A della scuola elementare Masaccio di Treviso, nell’anno scolastico 1995/96.

Le tre farfalle, che erano state rifiutate dai fiori, nonostante fosse scoppiato il temporale e piovesse a dirotto, continuarono a volare sul prato, sotto la pioggia, e piangendo dicevano:”Fr-r-reddo! Prenderemo un forte raffreddore!”Secondo episodio
Le farfalle, tuttavia non si persero d’animo, e pensarono insieme una soluzione. Decisero che sarebbero tornate insieme dai fiori e avrebbero insistito con loro per farsi riconoscere, ma questa volta ciascuna di loro sarebbe andata dal fiore che aveva il colore diverso dal suo e avrebbe chiesto ospitalità anche per le sue sorelle: la rossa sarebbe andata dal colchico bianco, la gialla sarebbe andata dall anemone rosso, e la bianca sarebbe andata dal tulipano giallo.
La farfalla rossa andò dal colchico bianco.
“Salute a te, colchico bianco, potresti ospitarmi?”
Il fiore arrossì e mille piccoli puntini rossi rimasti segreti per tanti anni affiorarono sui petali delicati.
“Certo, potrai raccontarmi le storie dei tuoi viaggi”.
“Posso chiamare anche la mia sorella gialla?”
Il fiore si illuminò e mille piccole punte gialle colorarono i suoi petali allungati.
“Certo, lei potrà cantare nella mia corolla seghettata”.
“Posso chiamare anche la mia sorella bianca?”
Il fiore sorrise.
“Certo, lei potrà accompagnare con la musica i vostri racconti e i canti”.
Fu così che le farfalle trovarono riparo nel prato, presso il fiore bianco, che conteneva tutte le variazioni del colore.
Da quel giorno le farfalle vissero sicure in mezzo ai fiori e con ogni tipo di tempo e ovunque volassero nel prato.

Tilt 89
C’era una volta un robot chiamato Tilt 89.
Abitava in un altissimo grattacielo posto al centro della città.
Una notte, un ladro penetrò proprio nella stanza di Tilt 89.
Il robot se ne accorse e decise di intervenire.
Accese immediatamente le sue antenne luminose e queste lampeggiarono nel buio come le sirene della polizia.
Così il ladro scappò a gambe levate.
Il robot Tilt 89 si sentì molto fiero del suo coraggio perché aveva fatto fuggire il ladro e anche perché tutti i robot del vicinato erano andati a congratularsi con lui.

TILT 89 e il forestiero
C’era una volta un robot chiamato Tilt 89. Abitava in un altissimo grattacielo posto al centro della città.
Un giorno, mentre stava passeggiando in centro città, vide un forestiero che chiedeva informazioni.
Il robot s’intenerì perché il forestiero era spaesato. Decise di spegnere le sue antenne per non impaurirlo e di presentarsi.
Gli si avvicinò e si presentò dicendo: “Sono Tilt 89 e anch’io sono venuto da fuori, qualche anno fa. Posso aiutarla?”.
“Grazie – gli disse il forestiero – sono appena arrivato e non avrei saputo trarmi d’impaccio”.
Il robot Tilt 89 si sentì molto fiero del suo coraggio perché aveva fatto conoscenza con il nuovo venuto.
Liridona classe quinta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

 

ALTRE STORIE

Tilt 89 e il suo complice eludono la sorveglianza del custode
C’era una volta un robot chiamato Tilt 89. Abitava in un altissimo grattacielo posto al centro della città.
Una notte, un ladro penetrò proprio nella stanza di Tilt 89.
Tilt era nervoso perché il suo complice era in ritardo. Infatti pensava:”Dovremo fare in fretta prima che ripassi il custode”.
Tilt disse al ladro: “Era ora che arrivassi!” Poi gli aprì la porta che dava sul terrazzo del vicino. Così entrambi fecero il colpo che avevano previsto. Il robot Tilt e il suo complice si sentirono molto fieri di aver eluso la sorveglianza del custode del palazzo.
Marco – classe quarta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Tilt 89 evita il pericolo
C’era una volta un robot chiamato Tilt 89. Abitava in un altissimo grattacielo posto al centro della città.
Una notte, un ladro penetrò proprio nella stanza di Tilt 89.
Il robot se ne accorse e, tranquillo perché nella stanza non c’era nulla da rubare, decise di restare immobile in modo che il ladro non lo vedesse. “Se non troverà nulla da rubare, se ne andrà da dove è venuto”.
Per questo restò fermo e zitto.
Il ladro si guardò un po’ intorno, non trovò nulla da rubare, non notò Tilt e uscì da dove era venuto.
Il robot Tilt si sentì molto fiero di aver evitato una possibile zuffa e disse tra sé: “Mi è andata bene! Tuttavia mi devo ricordare di chiudere la porta di casa, almeno di notte”.
Elisa classe quarta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Leo e Trillo
Lui si chiama Leo, è un leone bianco di gesso che sta impalato a Gerusalemme all’incrocio tra Jaffa Street e Nablus Road.
Una volta lo temevo, ora non più.
Io sono Trillo e, come sapete leoni e pennuti non sono mai andati d’accordo, tuttavia… Quel giorno io ero un uccellino spaurito che per caso si era ritrovato sotto il suo pancione perché era scoppiato all’improvviso un forte temporale, di quelli che di solito sono una benedizione per le terre aride, ma che in quell’occasione schizzava acqua sporca da tutte le parti, mentre le auto sfrecciavano sulla strada dopo aver rombato per un po’ all’incrocio.
Lui dice: “Aiuto! Lo sai che ho paura della pioggia: l’acqua mi infastidisce e mi sporca il mantello”.
Io rispondo: “Aiuto! Anch’io ho terrore dell’acqua, come di tutto il frastuono che fa il temporale.”
Intorno a noi le auto suonavano il clacson al semaforo, la pioggia batteva sui vetri dei finestrini e il vento squassava le tende del caffé all’aperto.
Allora Lui mi consola e mi dice: “Resta a farmi compagnia. Con questo tempaccio non devi andare in giro; il vento potrebbe spezzarti le ali o farti sbattere sui muri. Qui dove sei, almeno sei al riparo.”
Io mi commuovo. “Grazie, strillo”. E al volo afferro con il becco un gran tovagliolo per ricoprire entrambi.
Intorno a noi la pioggia continua a battere sulle pietre squadrate della piazza e sembra che ogni goccia penetri nella pietra tanto sparisce in fretta appena cade sul selciato.
Noi stiamo zitti per un po’ e ascoltiamo la pioggia stando riparati insieme sotto il tovagliolo.
Lui riflette e dice: “Quando la pioggia finirà, io tornerò un leone terribile e forse ti mangerò”.
Io rifletto e rispondo: Quando la pioggia sarà cessata, io volerò lontano e tu non potrai più prendermi”.
Entrambi, mentre ascoltiamo la pioggia, pensiamo: “Potremo scegliere tra sperare che la pioggia duri per sempre, oppure provare a sopravvivere con qualunque tempo, attrezzandosi in modo adatto”.
Lista dei giochi da sperimentare per sei mesi e a sessanta centimetri di distanza:
1. Giocare a carte e modificare alcune carte geografiche.
2. Giocare a palla e riparare le reti dei campi di basket.
3. Leggere storie, scomporle e ricomporle insieme.
4. Dipingere con i pennelli e disegnare insieme gli spazi fuori campo.
5. Ordinare le targhe delle automobili per forma, colore e dimensione e sventare i colpi dei ladri.
6. Annotare i cambiamenti del clima e prevedere ripari per le situazioni di pioggia.
7. Registrare i lavori in corso sulle strade e trovare sulle antiche mappe stradali i vecchi incroci.
8. Inventare cacce al tesoro utilizzando il codice della strada e inventare nuovi percorsi percorribili.
9. Scrivere agli amici lontani per vedere se i giochi funzionano.
10. Fare la lista della spesa e prendere le misure tutti i giorni per essere sicuri di non dimenticarsi gli accordi.
Gruppo attività alternative – Scuola elementare G.Ciardi – Treviso

Un pallone per due
Lui è Philipp, io sono Tomàs. Lui ed io siamo amici. Entrambi amiamo i palloni e ne possediamo un certo numero che controlliamo tutte le sere con cura. Un giorno ci capitò, pur vedendo un pallone, di restare in silenzio e di perderlo di vista. Infatti io pensai: “E’ meglio che faccia finta di non vederlo, così Philipp, quando lo vedrà dirà che è suo e sarà contento. Io me ne starò zitto”. Tuttavia al mio stesso modo pensò anche Philipp nei miei confronti.
Lui pensò: “E’ meglio che faccia finta di non vedere quel pallone, così Tomàs lo vedrà per primo e dirà che è suo e sarà contento. Io me ne starò zitto”.
Entrambi camminammo in silenzio aspettando che l’altro parlasse. Superammo il pallone che stava solitario in mezzo alla strada, l’uno e l’altro fischiettando come se niente fosse.
Così il pallone si allontanò dalla nostra vista ed entrambi, contrariamente a come avevamo pensato, ne fummo amareggiati.
Perciò io pensai: “Che fatica inutile! Avrei fatto meglio a parlare con Philipp dei miei sentimenti, forse lui avrebbe avuto un’idea migliore. Avrei potuto fargli qualche proposta, avrei potuto chiedergli il suo parere e insieme avremmo potuto decidere come fare. Almeno avremmo potuto giocarci un po’ insieme.”
Dissi questo a Philipp, e dalla faccia che aveva, capii che aveva pensato la stessa cosa.
Perciò un altro giorno che mi capitò di vedere un pallone seppi come comportarmi.
Dissi a Philipp “So che ti piace quel pallone, e so che piace anche a me, ma ho paura di prenderlo perché non voglio litigare con te e non voglio correre il rischio di perdere il controllo se tu mi provochi con le tue battute. Lui mi rispose: ” Potremo scriverci il nostro nome da una parte e dall’altra e tenerlo in casa un giorno per uno, così eviteremo di litigare.”
– Sei “grande” – gli risposi – con vigore.
– Anche tu sei “grande” – mi rispose e con lo stesso vigore e sorrise.
Solo allora toccammo il pallone, con piccoli calci per sentire come rispondeva. Per questo Philipp ed io siamo rimasti amici, giochiamo spesso al pallone, lo portiamo a casa un giorno per uno e sul calendario della cucina, ciascuno di noi ha scritto i giorni in cui può tenere il pallone a casa propria, domenica compresa.
Ogni giorno lo osserviamo da vicino, lo tocchiamo, proviamo a dargli qualche calcio per sentirne il peso e ci rendiamo conto che é proprio un pallone da basket e che per giocarci ci servirebbe una squadra.
“E’ vero – dico – per giocare con un pallone da basket ci serve una squadra affiatata, e un campetto di cemento e un allenatore, servono due canestri invece delle porte e bisogna allenarsi a saltare invece che a correre ed esercitarsi allo slancio delle braccia, invece che a calciare.
Allora con decisione prendo il pallone e lo consegno, quasi teneramente a Philipp, e gli dico che se vuole lo può tenere in mano quanto vuole, almeno quel tanto da affezionarcisi. Lui guarda me e guarda il pallone come se dovesse decidere chi scegliere. Palleggia un poco, fa una finta e dice: “Va bene! Accordo fatto, poi te lo rendo”.
Perciò noi due ora siamo felicissimi. Abbiamo trovato un pallone da basket, quasi nuovo, abbiamo trovato un posto dove tenerlo e un modo per giocarci insieme, avremo qualcosa da fare per tutta l’estate insieme alla nostra squadra.
La sera a casa raccontiamo del pallone, di come lo abbiamo osservato, di come abbiamo capito che non era un qualsiasi pallone, di come abbiamo deciso di fare una squadra. La mamma, il papà e i vicini ci guardano interessati a capire come avremo potuto giocare a questo nuovo gioco di cui loro avevano solo sentito parlare.
Tomas e Philipp classe quinta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso

Due disperati nel deserto trovano conforto
Due disperati si trovarono un giorno nel deserto. Non vedevano intorno che sabbia.
A loro disposizione era rimasto soltanto un litro d’acqua e il villaggio era ancora lontano almeno un giorno di cammino. Tuttavia erano esperti dei viaggi nel deserto e sapevano che lo scoramento avrebbe potuto essere pericoloso in quella situazione.
Entrambi avvertirono il pericolo e decisero che sarebbero rimasti in silenzio per un po’ di tempo, per pensare a come affrontare il loro problema.
L’uno pensò: “Non è che non si possa uscire da questo deserto, il problema è che qualunque strada prenderemo, ci tireremo dietro il muro di rancore che nutriamo l’uno per l’altro”.
L’altro, quasi intuendo il suo pensiero pensò: “La pista è sicura, ma anche se arrivassimo al villaggio… che vale? Ci resterebbe il rifiuto l’uno dell’altro e questo come potrebbe essere guarito?”.
Ciascuno decise tuttavia di provare a fare come se la vita dell’altro fosse importante come la sua.
Entrambi non dissero niente di quanto avevano deciso in cuor loro. Aspettarono la sera in silenzio, guardando la luce che si spegneva sulla sabbia improvvisamente diventata scura, mentre il chiarore delle stelle si confondeva con le luci dei villaggi più lontani.
Il primo disse all’altro: Tu sai che l’acqua basterà per due, se ci mettiamo in cammino ora, nel fresco della notte. L’altro rispose: “Certo. Tu sai che non ci perderemo perché potremo orientarci con le stelle.
Si trovarono d’accordo e fecero le cose come si erano detti. “Sembra un buon piano!” – si dissero – e ne furono confortati.
Allora provarono sollievo dalla sete che avevano trattenuto tutto il giorno e aspirando la frescura dell’aria, ne furono rinvigoriti.
“Grande”- disse l’uno all’altro. “Grande”- rispose il secondo al primo. E si osservarono lentamente mentre ciascuno si metteva in viaggio per suo conto e come se non fosse solo.
Allora misero in atto il piano che avevano studiato. Perciò divisero l’acqua fra loro; viaggiarono nel buio; si orientarono con le stelle. E cominciarono per la prima volta un lungo racconto in ciascuno parlava all’altro chiamandolo per nome.
Finché al mattino seguente giunsero al villaggio di Ber Sheva.
“Siamo contenti – si dissero, nei pressi del carrubo che stava in faccia al villaggio, è stato consolante fidarci l’uno dell’altro e dirci in che modo avremo potuto raggiungere insieme la meta”.
Matteo classe quinta – scuola elementare G. Ciardi – Treviso